Crisi dei semiconduttori: allarme rientrato?
La crisi dei semiconduttori che ha destato preoccupazione negli ultimi due o tre anni, sembra essere ormai scongiurata: a dirlo sono i dati delle aree commerciali più danneggiate dallo shortage, con particolare riguardo per i mercati relativi alle supply chain informatiche, ai beni di consumo e al settore automobilistico.
Se fino a qualche mese fa le scorte di chip e altri componenti elettronici erano ancora scarse, oggi pare che le aziende produttrici siano finalmente in grado di sopperire alle richieste. Stando a delle stime abbastanza ottimistiche, l’allarme dovrebbe rientrare in toto entro la fine del 2023 o al massimo nei primi mesi del 2024.
Le principali cause legate alla crisi dei semiconduttori
Al contrario di quanto si crede, la crisi di semiconduttori non è stata generata dalla pandemia di Covid-19 (o almeno non solo da quella). Osservando la storia dell’innovazione digitale, infatti, si può notare come nel tempo, lato componentistica, si siano alternati ciclicamente periodi di abbondanza a momenti di carestia.
Per meglio comprendere quanto l’oscillazione di costi e disponibilità appartenga alla normale evoluzione del mercato elettronico, basti pensare alla scarsità di RAM e CPU che interessò il settore a metà degli anni’90: periodo in cui il boom di computer dotati di interfaccia grafica decretò un’impennata improvvisa dei prezzi, che crollarono drasticamente nel giro di poco tempo.
Da non dimenticare poi la penuria di schede grafiche (GPU), che ha effettivamente messo in ginocchio il mercato consumer pochi anni addietro. Quando esplose la mania del mining di cryptovalute, i suddetti dispositivi erano divenuti praticamente introvabili e i pochi modelli disponibili venivano rivenduti a cifre di molto superiori rispetto al loro valore effettivo.
Un fattore che però ha di certo influito sullo shortage, è senza alcun dubbio l’eccessiva concentrazione produttiva a livello locale. In alcuni casi, bastano ad esempio incidenti minori che colpiscano specifici stabilimenti, per innescare un abbassamento drastico nella disponibilità di chip in tutto il mondo.
Ciò accade perché le poche fabbriche che sopperiscono al fabbisogno globale sorgono per lo più in Asia e non vi sono valide alternative a cui rivolgersi in caso di emergenza. Le prolungate fasi di stop imposte dai lockdown si sono soltanto andate a sommare alla naturale ciclicità del settore elettronico, causando una reazione a cascata che ha portato all’attuale situazione.
La rivalutazione dei chip da parte dei governi
Le vulnerabilità relative alla supply chain portate alla luce dalla crisi dei semiconduttori, hanno spinto i governi di tutto il mondo a rivalutarne il ruolo strategico: se prima la componentistica elettronica veniva data per scontata e quasi ignorata, adesso è stata riconosciuta come risorsa cruciale che deve essere protetta.
L’instabile situazione geopolitica ha dunque fatto correre ai ripari Stati tipo gli USA, che il 20 agosto scorso hanno promulgato il Chips and Science Act. Iniziativa volta a sostenere tutte le fabbriche del territorio statunitense che desiderano incrementare la propria capacità produttiva di semiconduttori, tramite l’offerta di sovvenzioni pari a oltre 53 miliardi di dollari.
Pure in Europa è stata adottata una misura similare, nota come European Chips Act. Il piano di aiuti introdotto lo scorso 15 febbraio punta ad aumentare la produzione europea di chip dal 10% al 20% entro il 2030, offrendo fondi per circa 43 miliardi di euro. Il che va a sommarsi a un altro programma di ricerca e sviluppo già avviato da qualche tempo e chiamato Impresa Comune Chip.
L’obiettivo di questi e altri finanziamenti al settore è in buona sostanza di ridurre la dipendenza dai mercati esteri e di scongiurare il ripetersi di crisi uguali a quella da cui ci si sta ancora faticosamente riprendendo.