Rischio fattore umano nella cybersecurity: come valutarlo e ridurlo
Nell’era digitale, la sicurezza informatica di aziende e organizzazioni rappresenta una sfida sempre più cruciale. Se da un lato, certo, continua l’inarrestabile evoluzione della stessa, dall’altro tende a persistere anche il cosiddetto rischio del fattore umano: gli errori commessi dalle persone, che possono addirittura arrivare a compromettere i migliori sistemi di difesa presenti in circolazione.
Per ovviare a tutto questo, molte imprese hanno da diverso tempo aumentato la propria attenzione verso la formazione e la sensibilizzazione dei dipendenti. Ciò nonostante, però, in parallelo sono cambiati e migliorati pure gli approcci adottati dai criminali, i quali hanno nel corso del tempo raggiunto delle capacità davvero difficili da osteggiare.
Il phishing, la manipolazione psicologica e il social engineering sono le principali tecniche adoperate. Soluzioni che sfruttano le debolezze cognitive degli utenti con lo scopo di portarli a compiere azioni tanto pericolose quanto in grado di causare delle gravi ripercussioni su interi ecosistemi aziendali.
Gestione del rischio fattore umano
La risposta alle suddette problematiche prende il nome di gestione del rischio fattore umano (Human Risk Management, o HRM): un approccio basato sulla valutazione e sulla mitigazione delle vulnerabilità comportamentali dei dipendenti. Tale processo, che serve a tracciare una panoramica dettagliata della consapevolezza e dei comportamenti del personale, si svolge in:
- conoscenza: testare il livello di preparazione su tematiche come riconoscimento delle e-mail di phishing, gestione sicura delle password e protezione dei dati;
- comportamento: identificare pratiche sconsigliate come l’uso di dispositivi non autorizzati, download di software non verificati o mancati aggiornamenti;
- percezione del rischio: comprendere quanto seriamente i dipendenti percepiscono le minacce e aderiscono alle misure di sicurezza.
Dall’osservazione dei punti appena elencati emerge come la complessità dei sistemi impiegati tenda a scoraggiare i dipendenti, portandoli a ignorare le pratiche di sicurezza. Risulta quindi fondamentale per le organizzazioni trovare nuovi modi utili a semplificare i processi.
Facilitare la segnalazione di attività sospette, ad esempio, può spingere i lavoratori a mantenere una comunicazione aperta. Questo, oltre a ridurre gli errori, incentiva al contempo una collaborazione attiva.
È altrettanto importante sottolineare che la responsabilità va sempre condivisa: ciò significa che ogni dipendente, a prescindere dal ruolo che ricopre nell’organico, deve essere consapevole del proprio impatto sulla cybersecurity.
Cultura della sicurezza: oltre la consapevolezza
L’adozione di normative stringenti, come NIS2 e DORA, spinge le aziende a implementare standard rigorosi per la protezione delle informazioni. Tuttavia, il rispetto delle leggi non garantisce di per sé l’efficacia delle misure adottate. Serve quindi un impegno proattivo per integrare la cybersecurity nella cultura aziendale, trasformando le regole in comportamenti concreti e virtuosi.
Sviluppare una cultura aziendale incentrata sulla sicurezza informatica è possibile, ma bisogna puntare su formazione continua, pratica ed esperienze concrete. Un valido approccio in tal senso sono le simulazioni realistiche degli attacchi (come le campagne di phishing), che risultano particolarmente efficaci nel rafforzare la capacità di reazione dei dipendenti.
Allo stesso modo, l’utilizzo della cosiddetta gamification (elementi ludici quali classifiche e premi) può far diventare l’apprendimento più coinvolgente e stimolante. Così come anche l’impiego di deepfake o altre tecniche avanzate, che aiutano a rendere i pericoli maggiormente tangibili, riconoscibili e attuali.
L’intelligenza artificiale (AI) supporta la gestione del rischio fattore umano, personalizzando la formazione e monitorando i comportamenti. Attraverso l’analisi delle abitudini degli utenti, ad esempio, l’AI riesce a identificare anomalie (tipo segnali di burnout o distrazioni) che potrebbero portare a degli errori. Inoltre, strumenti evoluti permettono di valutare la conformità dei suddetti comportamenti in tempo reale e segnalano potenziali violazioni prima che diventino incidenti.
A prescindere dall’approccio scelto per il training dei lavoratori, è cruciale ribadire che la sicurezza non deve essere percepita come un obbligo imposto, ma piuttosto come una responsabilità condivisa e un impegno comune.