Software come bene aziendale. Come se ne misura il valore?
Il concetto che vede il software come patrimonio aziendale è un po’ complicato da esplicare, ma risulta di fondamentale importanza per comprenderne l’effettivo valore. Come gli operai, i mezzi e le macchine impiegate nella produzione di un bene o di un servizio, anche i software rientrano nelle risorse a disposizione di un’azienda e, in quanto tali, hanno un costo.
Conoscere questo costo agevola la stesura di un bilancio produttivo più dettagliato, fornendo importanti insights sui costi reali di produzione. In questo modo l’azienda ha una visione più chiara sui ricavi che deve raggiungere per rimanere in attivo.
Quali valori servono per misurare un software?
Prima di scendere nel dettaglio con il calcolo del valore del software come patrimonio, è necessario aprire una piccola parentesi per comprendere come si valuta un servizio (al cui interno rientrano anche i costi del software utilizzato per fornirlo).
Secondo la definizione più recente di servizio, contenuta nella famiglia di norme ISO 20000, quest’ultimo non deve essere considerato un prodotto a se stante, poiché esso fa parte di un mezzo per erogare valore, ovvero un vantaggio per chi ne usufruisce.
Il calcolo del reale valore di un servizio tiene quindi conto dei requisiti funzionali utente (anche detti FUR), cioè quello che offre concretamente il servizio, che va poi sommato ai requisiti non funzionali (NFR), cioè come e quanto il servizio risulta accessibile all’utente finale.
Conoscendo questo concetto di base è possibile capire che tutto diventa misurabile. L’importante è sapere quali valori ricercare e con quali unità di misura identificarli. Un esempio chiaro per comprendere meglio questa definizione è dato dai chili (misura) che identificano il peso (attributo) di una persona (entità).
Allo stesso modo il software (entità) è definito dalla sua complessità (attributo), che si può misurare in molti modi diversi (uno dei più famosi è il v(G), anche detto indicatore di complessità). A questo si possono sommare poi gli aspetti soggettivi degli utenti che ne fanno uso (attraverso survey specifici).
Formule generali per calcolare il valore del software
Molte aziende commettono l’errore di valutare il valore patrimoniale di un software basandosi solo sulla semplice formula: Quantità di Lavoro (Q) / Quantità di tempo (T). Questa approssimazione è molto imprecisa e rischia di far perdere notevoli guadagni.
Per valutare in maniera corretta il valore di un software, quindi, è necessario identificarne i punti chiave. Il primo è il requisito utente (UR), cioè le funzionalità e la qualità che chi commissiona il lavoro si aspetta di ricevere.
Conoscendo il livello del risultato che si aspetta il cliente, è possibile determinare la quantità di lavoro necessaria (Q) per accontentare tutte le richieste. In base al precedente parametro, è poi possibile stimare la quantità di tempo che serve (T) per riuscire ad adempiere a tutte le consegne.
A questo si aggiungono gli Asset, ovvero chi realizza il software e quali mezzi impiega. Con tutto ciò si possono determinare i corrispettivi (C). In ICT gli asset valutabili possono essere rappresentati dall’hardware impiegato, da eventuali software di terze parti, dalle persone e dalla logistica.
I vantaggi patrimoniali del software
Il vantaggio principale derivante dal considerare il software come un patrimonio è quello di poter tenere traccia delle capacità produttive della propria azienda. Delineando uno storico delle produzioni sarà inoltre facile fare delle previsioni future, così da identificare meglio costi e tempistiche.
Avere consapevolezza dei costi funzionali e non funzionali significa attribuire il giusto valore al software, evitando perdite economiche per l’azienda stessa.